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A trecento anni dalla nascita

di GIOVANNI SPAGNOLO OFMCap.

ANDREA da BURGIO, un cappuccino siciliano nella missio antiqua del Congo

Tra le figure di spicco nella santità cappuccina del Settecento siciliano possiamo annoverare la figura quasi leggendaria del venerabile Andrea da Burgio, asceta, missionario e taumaturgo la cui memoria è stata oggetto di commemorazioni, iniziative e rivisitazioni in occasione dei 130 anni della dichiarazione di venerabilità (1873) per arrivare al terzo centenario della nascita (1705-2005), ravvivando un dialogo mai interrotto, fatto di amore e devozione che ha trovato un moderno luogo d’incontro in un apposito sito internet.
A Burgio, caratteristico paesino arroccato su una collina in provincia di Agrigento, dove Nicolò Sciortino, il futuro fra Andrea, nacque ai primi di settembre del 1705, è stato restaurato in modo lodevole l’antico convento dei cappuccini, con tutto il suo arredo, espressione di un particolare tipo di arte povera.
La giovinezza di Nicolò trascorse tra i campi e la cura del gregge, nella masseria di famiglia, se si escludono i rientri in paese per santificare i giorni festivi, fino a quando, rimasto orfano di entrambi i genitori poco più che ventenne, non dovette assumersi il ruolo di tutore dei fratelli e delle sorelle, tra ingratitudini e guai.
Arrivato alla soglia dei trent’anni, visto che Nicolò non parlava di matrimonio, occupato com’era nel lavoro e nella pratica della vita cristiana, anzi non nascondeva la volontà di entrare in convento, i parenti, come usava allora, gli combinarono quello che sembrava un buon partito con una ragazza della Burgio bene, appartenente alla famiglia dei Truncali.
L’affare naufragò provvidenzialmente per un contenzioso che riguardava la dote matrimoniale, su cui non si era trovato l’accordo, e Nicolò Sciortino riprese la spola tra la sua casa e il convento dei cappuccini per chiedere di essere ammesso alla vita religiosa.
I ripetuti rifiuti che Nicolò ricevette prima di essere ammesso, se da un lato dimostravano l’espansione numerica dell’Ordine, che in quegli anni oscillava intorno alle trentamila unità – di cui quasi novecento nella provincia cappuccina di Palermo - dall’altro rivelavano un progetto di vita per il quale si richiedevano garanzie di assoluta serietà e impegno.
Lo Sciortino, venuto a conoscenza della presenza del padre provinciale fra Innocenzo da Chiusa, in visita ai frati del convento di Burgio, tornò alla carica per l’ennesima volta, ricevendo ancora promesse vaghe.
Ma Nicolò fece ricorso ad un ingegnoso espediente, dettato dalla sua insistenza evangelica: attese che il provinciale lasciasse il convento di Burgio e si mise a seguirlo, piangendo ed implorando di essere ammesso tra i cappuccini, fino alla porta del convento di Bivona, che è una bella camminata!
Era il 1 aprile del 1735 quando finalmente fra Innocenzo firmò la sospirata e attesa “obbedienza” con la quale autorizzava il guardiano del convento di noviziato di Erice a ricevervi “Nicolò Sciortino del Burgio per Laico col nome di Andrea”.
Infatti, quando il 23 aprile 1735 ricevette l’abito dei novizi, il maestro fra Ambrogio da Monreale rivolgendosi allo Sciortino, ormai trentenne, gli disse: “con voi sono tre i fra Andrea da Burgio. I primi due, che vi precedettero, furono ottimi religiosi, voi però in santità dovete sorpassare tutti e due”. Era, quello del maestro, un augurio che il terzo Andrea da Burgio trasformò in proposito costante percorrendo sino alla fine l’austero sentiero della vita cappuccina.
Per quasi un decennio il novello cappuccino peregrinò in alcuni conventi della provincia, a Partanna, Burgio, Pantelleria e Trapani, facendosi notare ovunque per fede, bontà e mansuetudine.
Nel 1745 fra Andrea chiese di potersi recare con i padri Gioacchino ed Onofrio da Trapani a dare il suo contributo in Congo, in quella missio antiqua in cui l’Ordine cappuccino era impegnato fin dal 1645 per mandato del papa Paolo V che veniva incontro ad una richiesta, avanzata già nel 1621, dal re Alvaro III.
Questa missione, per le enormi difficoltà di ogni genere incontrate dai frati che vi si avvicendarono, venne designata come il cimitero dei cappuccini.
Eppure tra gli anni 1745-1751 una quarantina di cappuccini palermitani chiederanno di partire per il Congo - Angola ed altre missioni.
Testimonianza preziosa di questa missione rimane la Relatione del viaggio e missione di Congo, stilata da Luca da Caltanissetta tra il 1690 e il 1701, documento di eccezionale interesse etnografico oltre che spirituale.
Purtroppo nessuno si è premurato di raccogliere, dai quasi diciotto anni di presenza in missione, episodi relativi al vissuto di fra Andrea in terra africana, anche perché l’interessato si è guardato bene dal far trapelare qualcosa, per non aumentare, a scapito dell’umiltà, l’aureola di santità e martirio che aleggiava sui frati reduci dalla missio antiqua.
Sappiamo con certezza però che a Luanda, fra Andrea incarnava il modello di missionario voluto da san Francesco, cioè quello del fratello tra i fratelli, facendosi tutto a tutti e continuando il suo stile di vita austero, noncurante delle fatiche e del clima.
Ci volle l’autorità del prefetto apostolico per fargli mutare il saio di ruvido albagio con un abito più leggero e convincerlo ad accantonare il mantello e ridurre i digiuni prescritti dalla Regola francescana e dalle Costituzioni dell’Ordine.
Al momento opportuno l’intervento caritatevole e paziente di fra Andrea era il supporto che dava credibilità ed autorevolezza all’opera di evangelizzazione che i confratelli sacerdoti portavano avanti tra mille difficoltà, lottando con credenze, abitudini e stregonerie, difficili da sradicare.
Nel 1763 fra Andrea venne richiamato in provincia ma prima, precisava l’obbedienza generalizia, il cappuccino doveva fermarsi alla corte di Lisbona su richiesta del re del Portogallo, Giuseppe Emanuele I, figlio di Giovanni V, che aveva paradossalmente firmato un decreto di espulsione dal regno di tutti i religiosi.
Rientrato a Palermo, ai confratelli che gli chiedevano cosa facesse alla corte di Lisbona, fra Andrea rispondeva tra il serio e il faceto: “facevo da pulcinella”. E il discorso, naturalmente, finiva lì.
Gli ultimi anni di vita di fra Andrea trascorsero nella più genuina tradizione cappuccina, fatta di contemplazione, penitenza e generosità verso i poveri, accreditando e accrescendo quella fama di santità che il cappuccino di Burgio aveva già prima di partire per l’Africa.
Sorella morte visitò fra Andrea da Burgio il 16 giugno 1772, in quella stessa cella del convento-infermeria dove aveva finito la sua giornata terrena, un secolo prima, fra Bernardo da Corleone, oggi santo.
Molto presto dal sepolcro del missionario cappuccino cominciarono a fiorire grazie e miracoli, rinsaldando quel vincolo di affettuosa vicinanza mai interrotto, soprattutto con i suoi concittadini di Burgio, che oggi ne reclamano a gran voce la beatificazione.
Intoppi processuali infatti hanno fermato l’iter riguardante la causa di beatificazione e canonizzazione di Andrea da Burgio al 9 febbraio 1873 quando papa Pio IX proclamava che l’umile cappuccino siciliano, avendo esercitato in grado eroico le virtù teologali e cardinali, poteva essere chiamato Venerabile.
E con questo titolo, dall’antico soprannome del casato, fra Andrea da Burgio viene affettuosamente chiamato dai suoi concittadini: il venerabile Lemmi.
Ricordare Andrea da Burgio, missionario cappuccino, nel terzo centenario della nascita, vuole essere per tutti un monito a perseguire quella chiamata universale alla santità, proposta dal Concilio Vaticano II e rilanciata nel nuovo Millennio dal servo di Dio papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, come “misura alta della vita cristiana ordinaria”.

GIOVANNI SPAGNOLO OFMCap.